A VASCO ROSSI IL XV PREMIO DEL VITTORIALE.

(Giordano Bruno Guerri, Presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, consegna il XV Premio del Vittoriale a Vasco Rossi)

Quest’oggi, sotto una coltre di nubi chiare, Il Vittoriale degli Italiani è diventato il perfetto luogo d’incontro di due personalità tanto affascinanti quanto complesse, disobbedienti, beffarde, graffianti, spericolate, eccessive, menefreghiste e sprezzanti verso tutto quello che è sempre stato indice di ipocrisia, di forzata omologazione e noia. Attraverso la consegna del XV Premio del Vittoriale, il Comandante Gabriele d’Annunzio e il Komandante Vasco Rossi finalmente si sono incontrati nella dimensione atemporale della Storia: quella della Poesia. Sì, proprio loro, il Superuomo e il Supervissuto, quei due pezzi da novanta tanto distanti quanto vicini, tanto amati quanto ritenuti scomodi dal momento che hanno avuto l’ardire di mostrarsi come coraggiosi portatori di una certa soggettività che costituisce ancora oggi un elemento di disturbo per una società vittima di giudizi e concetti precostituiti. Entrambi hanno ridefinito una certa identità e una personalità fuori dagli schemi, scevra di un certo tipo di regole e inibizioni imposte da un sistema che vuole a tutti i costi “mascherare” e spersonalizzare l’individuo. Hanno infiammato platee di ammiratori, soprattutto di ammiratrici, hanno osato ad ogni costo, spingendosi fino all’eccesso, se ne sono fregati di tutti e di tutto – a scapito spesso della loro reputazione -.

Il primo ha messo in luce la complessità e la vastità della cultura. È stato colui che ha tolto le briglie ad essa aprendo la strada al dialogo tra le più disparate forme ed espressioni artistico-intellettuali – persino commerciali -. Per mezzo di quello sconfinato mondo che è la cultura le menti possono arrivare a sfiorarsi fino a toccarsi. Il secondo ha proseguito in questa direzione stravolgendo ogni regola, ampliando gli orizzonti e dimostrando, in maniera inconsapevole, attraverso il gioco della melodia, che la cultura non è solamente prerogativa degli intellettuali, non è un insieme di compartimenti stagni che interloquiscono esclusivamente con la polvere di vecchie biblioteche e di fronte a cui il non addetto ai lavori debba sentirsi in imbarazzo, ma è un alito di vita che si rinnova nel corso del tempo, che è in grado di prendere le sembianze di un vero e proprio manifesto generazionale diventando così l’espressione dei bisogni, della coscienza, dei sogni degli uomini e delle donne che sono chiamati a vivere il loro tempo. A questo punto la cultura non è più una parola che incute timore ma attira e seduce; crea il nuovo, plasma l’inconsueto, il rivoluzionario. Genera altre parole, più fresche, più giovani. Vasco Rossi ha dimostrato che è possibile parlare di disagi e denunciare problemi sociali narrando in maniera semplice e diretta, a tratti ironica, situazioni anche particolarmente violente; ha dato prova che è possibile parlare di un argomento difficile e spinoso, come quello della guerra, mettendo in piedi nel 1995, durante l’Assedio di Sarajevo, una tournée intitolata Rock sotto l’assedio con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica. Le canzoni di Vasco hanno forgiato una poesia nuova, diretta, semplice e comprensibile a tutti e in cui ognuno di noi – con un poco di disponibilità e di fiducia – si può riconoscere. Una poesia a metà strada tra quella più dotta dei cantautori e quella più popolare. Una poesia che nasce intimista e che nello stesso momento in cui la si ascolta diventa di tutti perché descrive la complessità dell’essere umano, parla a noi e di noi, delle nostre vite, delle nostre paure e nei nostri desideri. Una poesia onesta, piacevolmente scandalosa, che non si accontenta, che agisce per eccesso. Una poesia che ha scandagliato il mondo femminile mettendone in luce tutti i tabù come quello di Albachiara, di Sally e di Jenny.

Nel premio conferito questo pomeriggio da Giordano Bruno Guerri, Presidente della Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, a Vasco Rossi c’è tutto quell’inesauribile fascino del viaggio attraverso il tempo che resta intatto e che, anzi, ci viene donato rinnovato in tutta la sua bellezza attraverso colui che è stato in grado di coglierla e di farla propria; c’è il coraggio di osare restando fedeli a sé stessi; c’è il desiderio di far mantenere intatta la passione, di incantare generazioni e generazioni; c’è la necessità di calarsi e di specchiarsi nelle proprie ombre per poi tornare alla luce attraverso la bussola dell’audacia senza mai perdere la propria strada.

A cura di Erika Baini.

Lascia un commento